L’INSOPPORTABILE PULSARE DELLA VENA DEL BATTUTISMO

 

Comicità e ironia, e le loro caviglie sempre a rischio di sprofondamento nella pateticità del battutismo. E’ questa la palude della nuova comicità, le sabbie mobili in cui si tende gaiamente a sprofondare addirittura tuffandocisi di testa. ‘Ah, annammo bbène’ diceva romanamente la milanesissima Franca Valeri, più snob delle sue signorine snob, riservando per sé lo snobismo, vero, che vive spalla a spalla, a sottilissima linea di confine, con alcune allergie dell’anima, reso plausibile e legittimo e perfino estremamente elegante, anzi raffinato, dal corredo di acume, intuito, prontezza nell’ordinazione, “una menta!”, che rendono immediatamente percepibile la persona intelligente per immediatezza, misura, al di fuori di teorie e sbrodolate intorno ai massimi sistemi, la persona per natura affrancata dalla vitale profondamente volgare necessità che si sappia che è una vera signora o, oltre ogni border line, un intellettuale.

Nessun volo pindarico, solamente una sostituzione di culto, nel passaggio agli adesso diffusissimi, ingannevolmente immediati ma innegabilmente fruiti, goduti,  spassionatamente e appassionatamente accolti e replicati  “aoh a me me rode il culo”,  prologo  sostanzialmente  “e co’ questo ce lo sapete, se tratta de ride, ah no?…” a un  “e mo’ sì che ha da veni’ er bello”, sottopensiero che sorregge la vis comica del performer di successo. Ragazzi, ragazze, donne, uomini, di borgata o di quartiere, ruspanti o freschi di laurea, tutti nuovi donatori di felicità non rosi dal tarlato timore dell’effimero,  umani silos di adrenalina a go-go, innamorati pazzi dello stupore di sé e della propria sedicente simpatia. E si ride, si ride, si ride, di non si sa cosa ma si ride. Si ride non di comicità, men che meno della sconosciuta ironia che a pochissimi appartiene e alla quale ancor meno pochissimi sono eletti dalla benevolenza di madre natura. Si ride con i disinvolti del baretto, che entrando già ridono di gola e di ganascia fieri di un loro “aoh, famme ‘n po’ ‘n caffè..”, si ride con i battutari  e battutare che nelle godutine per l’eruzione continua della propria divertentezza,  con orgoglio si sistemano ostentatamente gli attributi sotto cintura o si sistemano la quinta maggiorata con un bel push-up manuale.  Battutari, dilaganti, onnipresenti, in fila alla posta, fuori dalle stanzine di un catasto, che in attesa di arrivare in TV e in teatro, e ci arriveranno, popolano e spopolano da barbieri e parrucchieri, dove scombussolano  gli equilibri emotivi di barbettoni, riccioluti, doppitagliati o glabri totali in attesa del loro turno, mettono a rischio la fermezza della mano di qualche barbiere che si scompiscia, sbaruffano  con le loro raffiche di irresistibilità i bigodini di signore che ridono ridono ridono, ridono di tutto quello che poco dopo, uscita la divertente divertita disinvolta disinibita “che ai peli sulla lingua s’è fatta ‘a ceretta”, censureranno. Ma si ride, oh sì, quanto si ride. Si ride e si va volentieri a ridere “annanno affanculo”,  “vedennoce anna’”  tutta l’ironia sbruffona dei “che d’è?”, dei  “che vor di’?”. Si ride come si potrebbe ridere se la tendina del ripostiglio rimanesse impigliata nella cassetta di frutta vuota che “la butto via domani”, come per la scoperta che le cipolle in frigo sono marcite, come per la paura che se non ridi alle raffiche di “ahò” “embè” “anvedi”,”o icchè”, “‘o ‘i cche c’è?”, “e allora?…” del battutaro del bar all’angolo, quello ti ammolla un cazzottone nei denti o ti dice “la maiala di tu’ ma’ “. Ma si ride, si ride. “Aoh, che te ridi? …mamma ha fatto i gnocchi?”, “marianna maiala, o’ i cche tu c’hai nelle mutande? Un baobab?”. Oh, cribbio! Non ci avevo pensato. E se fosse tutta colpa di Mae West e delle pistole che vedeva in tasca al cow boy di turno? No, di quello non ride più nessuno. O, se ride, è gay? Anche il cow boy? Danni del sovraffollamento.

INEDITI: STORIA, AMORE E LA MELLIFLUA ALA DELLA NECROFILIA

INEDITI: STORIA, AMORE E LA MELLIFLUA ALA DELLA NECROFILIA

Oggi, sui social hanno pubblicato un brano molto modesto di Billie Holiday, con interventi di molti che ci hanno incondizionatamente, appassionatamente ed incautamente, sbrodolato sopra. È un brano meritatamente poco noto inevitabilmente destinato ad essere relegato eternamente nei colori di cose risapute, già meglio documentate, nei sapori, negli odori dolciastri degli anni trenta, ciprie che sprigionavano miele e tuberosa, finestre tirate su a metà, una provvidenziale mezza penombra da sotto le cortine mezzo abbassate, veli di tendine immobili, letti sgualciti suffragati dal sospiro di un ventilatore svogliato, mutandine e mezze sottovesti di sete scadenti incollate di spietato sudore in un insieme di apparente irrinunciabilità da cui tutte quelle bellezze sdraiate avrebbero voluto fuggire.

L’ostinazione a pubblicare takes scartati dall’interprete al tempo della registrazione ha tutto il sapore della necrofilia, leggermente putrido, marcio di pus e di un amore che bacia in bocca il morto. L’alibi più solido è che si sta scrivendo storia documentata. D’accordo.  Ma non suffragate dall’ultra-secolarità del tema,  rimangono spesso operazioni di aspetto terribile da cui i necrofili più ghiotti e affamati si riscattano con professioni d’amore e volontà di rinunciare alla loro vita reale attuale pur di ritrovarsi là, allora, dentro la gabbia del cantante, a penetrare sospinti dai suoi fiati nelle griglie del microfono, finire aggrappati come ad un salvifico spuntone di roccia al chiodo della testina a impiastrarsi sulla cera insieme ad ogni nota. Il cantante è in mutande, in sottoveste, inginocchiato in cucina ad asciugare il caffè sul pavimento, attento a non bruciarsi con la caffettiera bollente che gli era scivolata di mano. Beccato. Il re è nudo. La siepe del giardino è crivellata di curiosità, il portinaio ne sa una più del diavolo, il bidone dell’immondizia racconta molto più di quanto sperassimo di riuscire a sapere. Resta solo il rimpianto di non essere riusciti a far diventare la parete del bagno una vetrina della quinta strada, ma per oggi sfoderiamo tutta la nostra armoniosa capacità di accontentarci, e il disco con il take all’epoca scartato può uscire.

PREVIOUSLY UNRELEASED: HISTORY, LOVE AND THE MELLIFLUE WING OF NECROPHILIA

Today, on social media they published a very modest song by Billie Holiday, with contributions from many who unconditionally, passionately and recklessly have poured over it. It is a deservedly little-known piece, inevitably destined to be relegated eternally to the colours of things already known and already better documented, flavours, sweetish smells of the 1930s, face-powders that released honey and tuberose, windows half-drawn up, a providential half-light from under half-drawn curtains, veils of curtains motionless, crumpled beds supported by the sigh of a lazy fan, panties and half slips of cheap silk glued with implacable merciless sweat in a set of apparent indispensability from which all those reclining beauties would have liked to escape.The obstinacy in publishing takes discarded by the performer at the time of recording has all the flavor of necrophilia, slightly putrid, rotten with pus and of a love that kisses the dead on the mouth. But not helped by the ultra-secularity of the theme, they remain operations of a terrible and fetishistic aspect from which the greediest and most hungry necrophiliacs redeem themselves with professions of love and willingness to give up their current real life in order to find themselves there, then, inside the singer’s cage, to penetrate, driven by his breaths, into the grills of the microphone, end up clinging as if to a saving rock spike to the nail of the head and getting smeared and sticking in the groove on the wax together with every note. The singer is in his underwear, in his slip, kneeling in the kitchen drying the coffee on the floor, careful not to burn himself on the hot coffee pot that had slipped from his hand. Gotcha. The king is naked. The garden hedge is riddled with curiosities, the doorman knows more than the devil, the rubbish bin tells much more than we hoped to know. All that remains is the regret of not having managed to turn the bathroom wall into a fifth street showcase, but for today we show off all our harmonious ability to be satisfied, and the record with the unpublished take at the time can now be released.

Un razzista è un pezzo difettoso nella catena umana

Amerò sempre Holiday. E sosterrò sempre le cause umane e i diritti civili e lotterò per la interminabile tragedia dei diritti umani calpestati ma, nonostante Strange Fruit spieghi con immediata chiarezza una imperdonabile vergogna perpetua, è una canzone che non mi è mai piaciuta. Ed è purtroppo un autentico delitto che sia ancora necessaria per denunciare l’inconcepibile vergognosa  forma mentale di chiunque sia sostanzialmente ignorante e grettamente primitivo da essere razzista.  Un razzista è un pezzo difettoso nella catena umana.

I will always love Holiday. And I will always support human causes and civil rights and I’ll fight for the interminable tragedy of trampled human rights but although Strange Fruit explains with immediate clarity an unforgivable perpetual shame, it is a song that I have never liked. And it is unfortunately a real crime that it is still necessary to denounce the inconceivable shameful mental form of anyone who is substantially ignorant and narrowly primitive enough to be racist.  A racist is a defective piece in the human chain.

© Copyright lelecerri.com

Billie Holiday vs. Billie Holiday

Gennaio 1949 – La stampa scriveva: “Fermata per possesso di oppio, Billie Holiday si presenta alla Corte in visone selvaggio da 7.000 dollari e tailleur con colletto nero”.

CHE FOSSE tossica mi fa incazzare come poche cose al mondo; non riesco a vederla in nessun altro modo, la trovo una dolorosissima enorme tragica cazzata. Ma che la lasciassero anche un po’ in pace! Lei era uno spirito libero, si potrebbe anche dire piuttosto infantile, primitivo. E quella stradannata vita era la sua. Alla fine dei conti, tutto il male che può aver sempre fatto, l’ha sempre merdosamente fatto a sé stessa. Lei era molto più innocente di tante autorevoli figure officiali che il male lo spargevano in giro. In questa foto dell’articolo, vista la circostanza, è molto bella così sdegnosa ed altera. Certo, lei gli uomini se li cercava tra i peggiori. Il dato certo e incancellabile è che a rappresentarla, in qualsiasi modo possa essersi rappresentata, a rappresentarla potrà esserci soltanto, e sempre ci sarà, Billie Holiday.

THE FACT THAT SHE WAS a drugs addict pisses me off like few things in the world. I can’t think of it any other way, I find it a huge tragic interminable bullshit, I find it a very painful bullshit. But I mean… they would have left her alone too! She was a free spirit, we could say maybe quite primitive, and that damned life was hers. In conclusion, all the harm she may have done she has always shittily done to herself. She was much more innocent than many authoritative official figures. In this photo, given the circumstance, she is very beautiful, disdainful and haughty. However, the fact remains that she really looked for men at their worst. The final certainty is that, in whatever way she may have represented herself, the only one who can represent her essence now and ever will be Billie Holiday.

CATTIVERIE CON LINGUACCE il film della Signora Sharrock.

Arieccoce. Cenerentola, la storia, stavolta minuscola, corre al pozzo, porta acqua perché si lavino bene bene i pavimenti documentali su cui poggia e vengano ben benino lucidati per farcela danzare sopra nei suoi nuovi panni di vicenda, non più in abito da sera né in celluloide, aggIornata nei fatti quanto nella sua contemporaneità digitale, quasi fantasy, di certo politically correct, per blu, e su una pretestuale vicenda di Cronaca non troppo minuscola ma maiuscolizzata, viene sbattuta in cronaca pagina pagina, pagina, pagina. E come in tutte le cenerentolate a seguire la prima incocchiata dalla Signora BidibiBodibi Bu, il cocchio di zucca ha raggiunto ormai l’evoluzione dell’hybrid, un colpo al cerchio, un altro al tino, l’importante è che la storia che si vuole raccontare calzi al tempo in cui viene goduta, sia funzionale alle regole dello spedire e ricevere un messaggio, partendo in qualche modo già datata, perché legata ai e dai dettagli aggiunti, alle specifiche considerazioni e ambientazioni sociali antropologiche civili politiche galateistiche del nuovo momento in cui la si racconta.

Inglesi attori bravissimi nati dalla schiuma di una tradizione attoriale dalla quale sono emerse e continuano ad emergere tutte quelle primavere un po’ stantie di classicità e la cui genialità non ha mai portato e tuttora non porta un alito di freschezza ma agevola un importante profondo respiro.

La scelta del caso è la macchietta, il macchiettismo che a volte e a momenti, in ogni altro paese, avvolge in una nuvola di cipria anche la farsa e che nel caso specifico può essere rinaturato immediatamente, tradizionalmente, con un bel “ma come? è elisabettiano”. Chiaro, chiarissimo, che se vai a vedere un film aspettandoti una cosa, tu spettatore e il film partite in un rapporto penalizzato da un colpevolissimo preconcetto. Superato l’impatto violento, violentissimo, senza scampo né perdono, con un macchiettismo inatteso, a poco a poco si entra, attraverso un passaggio intestino costantemente lubrificato dalla competenza degli attori, in un vero dramma, nel dramma assoluto, nel dramma intriso e portatore di lecito, legittimo, encomiabile femminismo, che nullo scampo lascia, al quale nessuno resiste: nel dramma dell’inGiustizia.

E qui, e qui, e qui, cara signora, “per favore, potrebbe passarmi quel gomitolo piccolo?”, ci lasciamo avvolgere da un filo di Arianna che infallibilmente ci condurrà nientepopodimeno che ad una non del tutto scontata via d’uscita in un percorso in cui non tutto è garantito dalla non matematicamente calcolabile applicazione della buona volontà acciocché il vero trionfi nell’assicurare, e riconoscere, a ciascuno ciò che, nel bene e nel male, gli spetti.

E questo avviene, oh se avviene! In un Fucking Loud Center in cui si affollano i desideri espressivi e comunicativi di un’altissima percentuale di noi umani di schiatta social, è tutto un dipanare, e un riavvolgere; il gomitolo si sbroglia e si rimbroglia in continuazione nella giusta suspence che un prodotto inglese assicura, garantisce, offre sempre, anche nella semplice attesa di risposta alla , chissà se innocente, domanda “per favore, che ore sono?”.

Tutti contenti, infine! Da Giorgio III e Sophia Charlotte a Emmeline Pankhurst, al maniscalco, alle spose che non ebbero mai una torta di nozze, ai figli dell’Impero che Impero non stava più per essere, all’insopportabile genitore sopportato che con i suoi pennellini e la scritta sul carrettino del droghiere si era fatto una gran bella casona borghese.  A meno che non l’avesse ereditata da chissà quale avo possidente.

Cattiverie a domicilio – di Thea Sharrock.  Nei migliori cinema. O in quelli in cui lo trovate.

Gloria al pretesto. E Gloria sia!

La strada del riscatto è costellata di Millenni cui rimediare.  La Storia giocando a campana?

Ormai si ricava una professione femminista anche dallo smaltimento della rapa neozelandese. Giusto, la strada del riscatto è costellata di millenni cui rimediare. L’isola di Pasqua sarà in futuro la culla storica della rumba e Abbe Lane una sacerdotessa Inca, pronipote della rapper Rapa Nui, ava della Cantatrice Calva, che nel  1475 introdusse l’uso della marimba nelle formazioni sinfoniche della Colombia precolombiana. E non sarà assolutamente difficile che la parabola-metafora-playstation-newhistorical riesca a passare come un accertato evento storico per una ormai larghissima fascia di consumatori della schiera ‘viva il cinema abbasso la storia’ ampiamente foraggiati da Ridley Scott, tra i molti altri; consumatori comodamente disabituati ad ogni riferimento e realtà autenticamente storici o almeno prepotentemente storicizzati nei secoli. Ciò tenendo tuttavia conto di che la domanda che sovente si è levata, qua e là, de vez en cuando, un po’ flamencorock un po’ mazurka, dal Manzanarre al Reno, è ‘Ma la Storia che Storia è?’. Le Goff, morto così giovane, considerando le durate minime che abbiamo ormai raggiunto e che, per poi trascurarci ad ogni sopravvivenza impostaci da non si sa quale etica assolutamente contro-aziendale,  per poi un giorno trattarci come pacchi in qualche ospizio, vogliono portare alla durata di una quasi eternità, farà ancora in tempo a rivoltarsi nella tomba, se non è stato cremato? O vedrà scorrere, stavolta nello splendore del digitale formato 16:9, minuto per minuto, come nella moviola di un montatore di bibbie playstation newfantasy, le tribolazioni degli storici in crisi che girano chiese e mercati ubriacandosi per dimenticare umiliazioni e patimenti a causa di nobili adultere che hanno infuocato le loro epoche d’oro sottratte a sane formazioni who’s who e turbato i loro successivi sogni influenzali. Glorious! Un copione presto a venire. Una storia senza uguali. Perché è ancora tutta da inventare. Perché deve ancora accadere. Che sgorgherà, di antichissima  contemporaneità, hic et nunc, per qualcuno dei quasi tutti per i quali la storia nasce esclusivamente con e dal giorno della propria nascita, tutto il resto non è mai esistito. Prima: A) avverbio di improbabliità B) Sinonimo di inesistenza. L’hic et nunc, incontestabile attestato storico tanto comunemente e sentitamente avvertito come ricapitolazione dell’eternità che si può contestualizzare, rappresentare, raccontare, come più ci piace, mentre più si giace, anzi, se tra una cotoletta e l’altra e un passami il sale eccoti l’olio decidiamo di crederci, mentre tanti giacciono sotto macerie televisive. Ma sarà vero?  Per blu,  je m’en fou.  Viva la foto perfetta! Gloria al pretesto. E Gloria sia!

BILLIE HOLIDAY RECITAL

13 aprile 2024

 

BILLIE HOLIDAY  RECITAL                                                                                                                             Grabados de 1952 y 1954 publicados en el álbum RECITAL en 1956

Hola querido amigo Jay.  ¿Has oído lo mucho que Peterson, aunque la respeta, la empuja a cantar más de lo que lo hacían otros pianistas?… Aquí en RECITAL Holiday tiene que ganarse el pan… con los músicos, tiene que hacer su trabajo. y eso es lo bueno de estas sesiones. Dicen que Holiday se quejó un poquito de que Peterson había tocado demasiado. Cierto. Pero, aparte la singularidad de Holiday que más que una cantante era una galaxia aparte que trascendía un papel mientras se rodeaba de músicos a los que le gustaba sentirse parte…la de Peterson fue la forma en que la hizo volver a trabajar su trabajo. En ese album RECITAL, Holiday canta sobre su pedestal intacto de genio extradimensional, pero además, haciendo también el trabajo de músico entre músicos como músicos. Aquí realmente vuelve a regalarnos la carnalidad carnal de su vocalidad, de su presencia hecha de una esencia excepcional que no tiene nada de material que sin embargo aquí parece querer hacerse materia. Aquí en RECITAL, además de su extradimensional esencia se hace carne; lo hace con el trabajo, aquí infinitamente tangible, de músico que canta. Suprema, cantando con fuerza y equilibrio, sin arrogancia, se podría decir con una humildad que lo hace aún más gigantesca, como si de verdad quisiera acercarse a nosotros, pobres humanos, ella, entidad superior que generosamente se preocupa de engañarnos de estar a nuestro alcance. Lo hace en RECITAL trabajando humanamente como todos los humanos como todos los músicos. Y la experiencia de encontrar, en un día especial, a una diosa humilde es inigualable como inimaginable, una verdadera embriaguez.

Holiday no podía permanecer en la historia como la cantante que había terminado imitando a sí misma con músicos detrás de ella haciéndole compañía. Decir que Holiday es una cantante es limitarla. Pero cuando también canta, bueno, es mejor; también porque incluso cantando más su voz mantiene totalmente su sonoridad poética única en el mundo. © Copyright lelecerri

Allo specchio il nostro selfie

Allo specchio il nostro selfie

Caro Foffo… tu dici che dopo la fine, forse, nuove creature usciranno dall’acqua e metteranno braccia e gambe, cominceranno a camminare e a creare qualcosa di sano da questa rovina che l’uomo si è creata da solo? … È tanto che ci si guarda allo specchio e in preda ai furori dell’ autoreferenzialità non ci accorgiamo nemmeno che in questo interminabile selfie che da sempre ci facciamo, desesparecidos che siamo dalla faccia della decenza, pur di avere ruolo e battuta, smanacciando, da ordinari ventriloqui scalmanati, ci stiamo gridando “crucifige! crucifige”… per follia protagonista, stiamo perfino riuscendo a rubare il posto a Cristo sulla croce. E miseri… senza ormai pietà nemmeno per noi stessi, se riusciremo davvero in questo scellerato fai da te che é la nostra autodistruzione, virtuali come ormai siamo nei nostri raggi d’azione, non sanguineremo neanche. Cotenne. Buona Pasqua. La torta di pane. Da piccolo non mi piaceva. Ora mi conforta la sola idea.

Billie Holiday non forma ma essenza / Billie Holiday not shape but essence

 

thanks for all pictures from : http://www.billieholidaysongs.com/recording-sessions/1958-sessions/

Si parla spesso della voce più o meno in forma di Billie Holiday… Parlando di lei, non significa gran che. La sua voce contiene sempre  tutto ciò che l’autentica profondità contiene. È estranea ad ogni classificabile forma o stato e il suo suono è sempre talmente magnifico che, sebbene lei stessa desiderasse così fortemente essere e sentirsi considerata una cantante popolare con tanto di arrangiamento per violini, parlare di lei semplicemente come una cantante è limitare la sua grandezza.

Holiday non appartiene a una dimensione conosciuta. È una galassia a sé.

Ciò che è eccezionale è che nella sua indefinibile eccezionalità, ha rappresentato e rappresenta e con forza esala, tragicamente e candidamente, i colori dell’anima nel modo in cui ognuno che l’ascolta vorrebbe riconoscere dipinta la propria.

You all often talk about voice bad shape… That doesn’t mean so much talking about Holiday. Her voice always contains all that the real deepness contains,  it’s alien to any classifiable form/shape and its sound is always so magnificent that, although she herself strongly desired to be a popular singer and to sing with violins, to speak of her simply as a singer is to limit her greatness.

She doesn’t belong to a known dimension. She is a galaxy apart.

What is exceptional is that in her indefinable exceptionality; she represented  and strongly exaled, tragically and childishly, the colours of the soul in the way all those who listen to her would  like to see painted their own.

Copyright lelecerri.com

 

 

http://www.billieholidaysongs.com/recording-sessions/1958-sessions/

IO CAPITANO di Matteo Garrone

17 settembre 2023

 

IO CAPITANO di Matteo Garrone

Ho visto IO CAPITANO.

Non si possono imputare difetti al film ma il difetto di non considerare che gli spettatori sono un’entità difettosa; e penso non si debba riservare loro un trattamento democratico.

Attori bravissimi molto evidentemente eccezionalmente diretti, film bello, bellino, ma insufficiente al tema; che è una colossale mastodontica smisurata  tragedia umana e, anche per i tanti che ad applicare la pietà non ci pensano proprio, un, inevitabilmente in atto, centralissimo e grandissimo ineludibile fenomeno, processo epocale che, come molti altri in tutti i tempi, sta investendo e interessando antropologicamente, senza  condizioni, il presente e il futuro dell’Europa intera e si diluirà, rimbalzando, più o meno riconosciuto tale, più o meno doloroso, nelle arterie e nei capillari del mondo. Tragedia e cataclisma antropologico, nel film sommersi e accarezzati in superficie,  trattati a conforto delle anime che, per la sola fatica di essere stati seduti in sala nel buio illuminato dalla pellicola, dal film traggono un’assoluzione che neppure si sognavano minimamente di chiedere. Tragedia e cataclisma epocale aiutati a convertirsi in dibattiti di attivisti graniticamente non attivi o attivi altrove, o in uno dei momentanei salvifici arricchimenti colloquiali dei meeting pomeridiani di noi ottime persone comuni, vuoi ambosessi spazientiti in una qualche coda o nelle sale d’attesa CUP, vuoi signore nelle sale da tè di ogni qualche disperato bar che se le vede in gruppo a un tavolo davanti all’unico caffè di tutto il pomeriggio con cui sanciscono il diritto a quattro ore di ciance indisturbate. Passando loro accanto per l’inevitabile percorso cercando la toilette, le sentiremmo stupite, forse inorridite, c’è da giurarci spaventate, ma non commosse; e sicuramente vedremo esalare intorno, più che aleggiare,   coscienze tranquillizzate dal loro impegnato sforzo critico in quel simposio distrattissimo quanto incancrenitamente unicamente allarmato per la propria sicurezza, nella prosa di una presa di coscienza del dramma e dello sconvolgimento in atto che, con probabilità preoccupante, non andrà mai oltre il che sarà mai del mio tinello e dei miei nipotini, i valori oh i miei i valori, sentirmi a casa mia, non è il modo non è il modo, o, per il loro volitivo nipotone: il mio paese è mio.                                               Mi sbaglierò, spero di sbagliarmi, vorrei essermi sbagliato nell’impressione, a volte inevitabile, nel non trovare la consanguineità sperata tra temi e loro trattamento. Vorrei sbagliarmi e non sentire il nascere di paure che mi sbocciano non desiderate e non amate. Quando il cinema in certi casi è troppo cinema, quando nel progetto di non fare distinzione di destinatari sembra non avere l’esigenza di mettere a fuoco il controllo di ciò che possa rendere inutile, nel rischio alto di una sua temporaneità, una destinazione così concepita, di facile accesso, di cassetta dicono facilmente i chissenefreghisti. Quando il Cinema, o altro, anche soltanto involontariamente, per volonterosa democraticità di linguaggio serve chi non chiede di essere servito di portate che non rientrano nel suo menù mentale, che non riguardano i suoi gusti, i suoi appetiti, ilsuo metabolismo. E via, morto uno spettacolo, se ne fa un altro.

E della tragedia ancora non abbiamo capito nemmeno che cosa sia e dove stia il lumicino con scritto uscita. Mentre pretenderemmo che apparisse, per nostro diritto, chissà quale,  il fotogramma con THE END, la sua.

Un caro saluto di buona domenica.