Ma pecché, Filume’?!

Ma pecché???? Ma pecché??? Ma pecché, Filumè’?! Pecché fare un film disordinatino autoconcessivino a tratti ritualmente inevitabilmente commovente come una creatura sgozzata davanti alla madre con perfino il trovarobato sovente anacronistico con una bella immagine d’apertura assolutamente felliniana decifrabile come omaggio a Fellini autore insieme a Tullio Pinelli dell’antico soggetto non a caso mai utilizzato, còre còre còre ‘na cartulina ‘e Napule famme ‘nu shotte, guaglio’, come se si fosse caduti in una trappolona di un Fellini al quale dei destini dell’umanità importava quanto della felicità di un pruno?
Ma pecche? Ma pecché, Filumè’, piezz’e còre, ma pecché?!
Bellino, una favolina un po’ scricchiolante, felice come pretesto per ripresentare a tarallucci (pochi) e vino (poco pure) il diritto innegabile alla comprensione che hanno i ricorrenti tragici eterni fenomeni migratòri. Fazzolettini            e un saluto a Pollicino.

 

La zia gozzaniana del GLADIATOREII

 

Mah…

La zia un po’ gozzaniana di un mio amico, convinta che bastasse essere nata nel secolo precedente per poter vantare un lignaggio di pregio, lambiva con lo sguardo le giovani mogli che i nipoti avevano tesorizzato fuori dalla cerchia delle amicizie familiari e sussurrava al primo vicino più o meno discreto che le capitasse accanto: “certo… come vanno giù le famiglie…”. Certo come vanno giù i Gladiatori. E all’inizio fu… la bruttezza della scenografia, la mancanza di ritmo e la lentezza di movimenti nelle battaglie di massa che sembra abbiano tutti l’artrosi (fare brutta la battaglia terra>mare che è l’apertura del film è da Oscar all’”accontentàmoce”). Seguono; una mappa socio-parentelare che la vera anagrafe sembra sia sempre stata Tombolo e una costante disinvoltura generale per cui può anche nascere il dubbio di aver intravisto ad un tratto, sullo sfondo, sotto un colonnato, il Feroce Saladino che sta a fa’ una pippa a Menenio Agrippa che je urla: “ahò, ma io so’ dder 500 a. C. !” . Más allá, a ogni piè sospinto salta all’occhio che la Rivarossi e la Dinky Toys avevano più rispetto della scala. Meno male che c’è Denzel Washington, che agita e ruota bellissimi broccati che nemmeno un toreador col capote de brega. E ha tutta l’aria furbina di aver usato ogni giorno della lavorazione del film come messa a punto di un qualche Shakespeare che, ci possiamo giurare, gli gira vorticosamente in testa di ammollarci abbastanza presto. Welcome. Countdown.

P. S. Speriamo non lo faccia con Scott