CINQUE SECONDI – di Paolo Virzì scritto con Carlo Virzì e Francesco Bruni

Virzì ha da sempre al suo arco, e anche sul suo ben conservato fucilino a gommini, tutti gli ingredienti per fare bei film: l’inevitabilità dell’intelligenza, l’agilità livornese, acrobatica per quanto densa, un importante futuro alle sue spalle, ‘il metodo, il metodo’, la cultura classica che ad averne si casca sempre bene, anzi meglio. Opera e artista. Mai come questa volta, sembra, inscindibili in ogni considerazione, in ogni conclusione, come per una volontà e un bisogno di rispettare e celebrare più o meno contingenti necessità personali dell’autore. Tutti parlano più di Virzì che del film che nessuno vuole vedere come creatura generata e lasciata al suo cammino naturale, legittimo; un film al quale tutti girano e rigirano intorno con parole come catarsi, amore, sentimento, paternità e, finalmente, anche consapevolezza. C’è tutto, sì. Ma nessuna confessa deduzione di qualcuno che abbia messo a fianco del mio clic paralizzante il suo. Deh, stai a vedere che mi sono sbagliato… Ho cercato un complice nella mia conclusione scellerata che mi si è accartocciata intorno, in un brivido di terrore-orrore e di raggelo purissimo. Chiamano finale libero un finale che personalmente mi ha inchiodato ad un’idea, unica, senza alternative, spaventosa, fragorosa al punto che, credo, tutti vogliono tenerla muta, nascosta, non udita, non vista, innominata, innominabile; parlano di un finale libero che libero non ci può arrivare affatto in quel flash-back che lo innesca e ci inchioda. Il soffio e l’idea di catarsi da tutti offerti al film mi sembra una sventagliata, un colpo di ventaglio, ssszzac, dietro al quale nascondersi, nascondere il proprio terrore, il proprio neo, la negazione inconscia dell’orrore paralizzante, paralizzati da una deduzione e meta che se raggiunta sarà immensamente più di una catarsi di qualsiasi portata; sarà una fragorosa katabasi senza necessità né possibilità di risalita, senza la risalita che sia la comune assoluzione degli uomini. La ferocia di un altissimo stato violento, persecutorio al punto che nel suo orrore non sarà calcolabile nei comuni termini di giustizia e salvezza, ma resterà un compagno tanto feroce e potente da essere in sé condanna e assoluzione, entrambe costanti immodificabili.











